Sul rilievo tridimensionale di alcune spelonche con tecnologia S.L.A.M.
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Ad Alessandra.
Sul rilievo tridimensionale di alcune spelonche
con tecnologia S.L.A.M.
<< Forse il nostro universo si trova dentro al dente di qualche gigante.>>
Anton Čechov
Introduzione
<<Portatelo voi!>> o forse: << Aspettiamo dieci anni.>>
Queste le possibili risposte alla domanda: << Lo porti tu? >>, solo se Marco avesse immaginato o qualcuno gli avesse detto che quel gravame nel cubolare, dieci anni dopo si sarebbe ridotto oltre dieci volte.
“Dicesi cubolare, un tubolare o sacco da speleologo di forma cubica di notevoli dimensioni atto a contenere uno strumento di rilievo tridimensionale dotato di L.A.S.E.R.[1]di prima generazione.” Da Le memorie di uno speleologo del Carso di Ausonio Gutta
Se si deve scegliere un emblema dell’evento datato agosto 2013 nel corso del quale il Gruppo Grotte Nuorese ha compiuto il primo rilievo tridimensionale di una grotta, il cubolare ne assommerebbe tutte le caratteristiche. Ché esso conteneva il primo scanner tridimensionale mai realizzato che ora è allegramente sostituito da un aggeggetto impugnabile come una caffettiera da 18 a sua volta capace di svolgere le medesime operazioni, in maniera ovviamente più agevole, precisa e veloce.
Per capirci infatti, senza tema di smentita, si potrebbe dire: lo scanner 3d statico del 2013 sta allo scanner semovente del 2022 come l’E.N.I.A.C.[2]sta all’attuale personal computer.
(Un poco impudente questo relatore!) Il timore della smentita avrebbe cittadinanza sicura se si rammentasse che il primo computatore della storia occupava una stanza di 120 metri quadrati, aveva un peso pari a 30 tonnellate e impiegava quasi 18000 valvole termoioniche. Ma se a tanto dispiego di quantità opponiamo lo sforzo immane che il poderoso Marco ha dovuto compiere nel traghettare il suo omologo della proporzione, lungo la spelonca de Su bentu nell’estate dell’anno 2013, il paragone sarà perfetto!
<< Le dimensioni non sono importanti. >>: in un mondo prettamente maschile (lo scanner, il rilievo, il laser, et cetera) ove però fa da protagonista la grotta indubbiamente femminile, questa sua ipotetica affermazione potrebbe essere assai rassicurante. Ma non se abbiamo a male i preponderanti soldatini dell’oscurità con divisa di poliamide resinata o di Cordura salva chiappe, casco con L.E.D.[3] Scurion 1500 per la grande sala ancora da scoprire ove la sua luce si perderà, scarpe super evo con suola anzitutto e pendagli metallici e non, tra le gambe: non è così.
Nel rilievo tridimensionale le dimensioni dello strumento sono così importanti al punto da divenire decisive. Con estatica soddisfazione del soldatino e della grotta.
Più del primo in effetti ché nel rivedere il luogo prediletto delle sue scorribande speleologiche trasformato in milioni di punti come un quadro puntinista di George Seraut raggiungerà l’acme del piacere speleologico al punto da transustanziare.
Video rilievo 3D del complesso carsico di Monte Tiscali
Si chiamava ScanStation P20 della ditta svizzera Leica e doveva essere montato su un cavalletto. Per tale motivo oggi è classificato: statico. Si chiama Zeb Horizon della ditta inglese GeoSlam, si tiene nella mano e viaggia col proprietario della mano. Per tale motivo è classificato: dinamico. Il primo, per compiere il suo servigio, doveva essere posizionato su un treppiede, fermo quindi nel punto che l’operatore aveva scelto per la scansione, in quella che, nel parlar tecnico, di chiama: stazione. Il secondo ha la mano dell’operatore come unico sostegno e si muove insieme allo stesso come se compiesse tante stazioni, ma senza soluzione di continuità.
Il primo riusciva a misurare la posizione di un milione di punti bersaglio dello spazio al secondo, con un angolo solido pari a circa 300° deg, ovviamente con la sola esclusione della sua parte sottostante la cui visione appunto era impedita per la presenza del cavalletto. Il secondo può misurare fino a trecentomila punti al secondo senza limitazioni spaziali dato che è semovente e quello che non poteva figurare in basso in un determinato istante, potrà nell’istante prima o dopo dato che è semovente.
Il minor numero di punti scansionabili con lo strumento dinamico rispetto a quello statico non appaia come un detrimento della capacità o dell’efficienza. Infatti la miniaturizzazione comporta certo la perdita di potenza, ma che si può ritenere ampiamente compensata dalla mobilità e quindi dal numero di pseudo stazioni che, come detto, avvengono in maniera continua lungo il percorso scelto dall’operatore.
Tra tutti, ad ogni modo, i dati più significativi, senza il menomo diffalco, risultano essere le forze con cui i due comparenti sono attratti verso il centro della Terra: infatti il primo pesava 11.9 kg, cui doveva aggiungersi il peso del treppiede pari a circa 5 kg. Il secondo 1.5 kg.
Palese e di immediata comprensione risulta essere una conseguenza legata alla leggerezza: le operazioni di rilievo in ambiente ipogeo risulteranno notevolmente semplificate al pari del dispendio di energie e all’acquisizione di sicurezza operativa. Infatti minore sarà il numero di assistenti e portatori e ridotta o ridottissima sarà la permanenza nelle spelonche assegnando alla procedura indiscutibile vantaggio della sicurezza e di economia delle finanze.
Sia chiaro: non è detto che il rilievo di tipo statico debba o sarà sostituito da quello dinamico. Anzi: in talune circostante sarà preferibile e continuerà a migliorare le sue innegabili e irraggiungibili peculiarità di precisione e accuratezza: si pensi, ad esempio, alla scansione tridimensionale di luoghi di eccezionale interesse archeologico, storico e artistico come ad esempio la grotta Chauvèt in Francia nelle cui pareti sono raffigurate le più belle e maestose pitture rupestri che mai occhi umano abbia veduto. La loro inusitata bellezza val pur bene un rilievo accurato, calmo, rilassato, per così dire: statico invece che di uno, per così dire: en passant, o dinamico?
I fatti
Alla fine del mese di agosto dell’anno 2022, in data 26 e 27, il Gruppo Grotte Nuorese, sodalizio di appassionati prim’ancora che associazione di promozione sociale[4] operante nel territorio nuorese nell’ambito della speleologia da quasi un secolo, grazie alla perspicua e mirifica collaborazione di Maurizio Mulliri, responsabile della ditta GeoS.L.A.M.[5] in Sardegna, ha compiuto una serie di rilievi tridimensionali di alcune grotte della valle di Lanaitho, site in territorio dei comuni di Oliena e Dorgali, in provincia di Nuoro e caratterizzate da spiccata rilevanza archeologica e ambientale: la risorgiva de Su Gologone, la grotta Rifugio, la grotta Corbeddu, la grotta Sisaia, l’ingresso della grotta de Sa Oche e la grotta Tiscali.
Maurizio Mulliri fortemente ha voluto provare le prerogative attese, le peculiarità, la versatilità, l’efficienza, ma anche gli eventuali limiti e difetti dello strumento denominato: Zeb Horizon nelle procedure di rilievo tridimensionale di ambienti particolarmente complessi e disagevoli dei quali le grotte rappresentano la massima espressione naturale.
La tecnologia che per successivi e progressivi affinamenti ha condotto allo sviluppo dello Zeb Horizon nacque a cavallo tra gli anni ottanta e gli anni novanta nell’ambito dell’industria robotica. In quel periodo infatti fu messo a punto un algoritmo che consentiva ai robot di mappare e navigare contemporaneamente all’interno di un ambiente chiuso senza l’ausilio del G.P.S.[6] I dispositivi tipici, come lo Zeb Horizon, acquisiscono i dati da un apposito trasduttore, in questo caso un l.a.s.e.r. scanner, per costruire, tramite l’elaborazione informatica dei dati, un'immagine puntuale dell'ambiente che attorno ad essi si sviluppa.
Simultaneous Localization And Mapping (S.L.A.M.) ovvero: localizzazione e mappatura simultanee, questa la tecnologia impiegata da detto strumento.
In cosa consiste detta procedura? È presto detto.
La S.L.A.M. (localizzazione e mappatura simultanea) è un metodo impiegato da mezzi semoventi o trasportati e autonomi, comunque in moto in un percorso prestabilito, che consente di costruire una mappa e localizzare il veicolo in quella mappa allo stesso tempo. Gli algoritmi S.L.A.M. permettono allo strumento di mappare ambienti sconosciuti e il robot, semovente o trasportato, impiega le informazioni della mappa per svolgere attività come: pianificare i percorsi ed evitare gli ostacoli che si frappongono al moto.
Per comprendere, con un esempio capace di affascinare anche il lettore meno avvezzo a questioni complesse, è sufficiente riportare alla memoria, qual stringente esempio, le auto Tesla a cosiddetta guida autonoma.
La S.L.A.M., grazie ai recenti progressi nella velocità di elaborazione dei dati da parte dei computatori elettronici e alla disponibilità di sensori a basso costo, come fotocamere e telemetri l.a.s.e.r., è attualmente impiegata in un numero sempre maggiore di campi della scienza e della vita pratica.
Per comprendere l’importanza della S.L.A.M., saranno di seguito illustrate alcune delle più importanti prerogative ch’essa caratterizzano ed alcuni esempi di applicazione.
Movendo proprio da quest’ultimi si consideri ad esempio il funzionamento dei robot aspirapolvere per la casa e per ambienti industriali. Sempre più popolari per versatilità, convenienza e per fare ciò che precipuamente è la scaturigine della loro creazione, ovvero: far risparmiare all’utente tempo e fatica, in tempi prossimi si sono giovati di prodigiosi affinamenti in campo informatico e robotico tali da renderli oltremodo efficienti e sicuri, proprie e anche grazie alla tecnologia S.L.A.M.
I robot pulitori che non impiegavano il protocollo di localizzazione e mappatura simultanea di cui si disquisisce, si muovevano, all’interno di una stanza o di un capannone, in modo casuale e per questo era possibile lasciassero alcune porzioni impolverate perché, casualmente, in esse non avevano auto modo di passare. Per sopperire a tale evenienza sfavorevole e poco efficiente, si contava sulla ridondanza dei passaggi e quindi sul fatto che, prima o poi, a forza di passare, la i-Roomba avrebbe coperto tutta la superficie. Un po’ come la pioggia che, a forza di cadere, alla fine ricopre tutta la superficie che incontra bagnandola uniformemente o, se si vuole in maniera continua, pur avendo cominciato in maniera discreta. La localizzazione e la mappatura simultanee applicate, consentono all’aspirapolvere semovente di avere sempre contezza della propria posizione e al contempo collocare detta posizione entro una mappa per poter dire: << Qui son già passato. Qui devo ancora passare.>> e raggiungere quindi l’obiettivo primario di efficienza: minimizzare i tempi e i costi di esercizio.
Palese infatti che, affidandosi al caso, per raggiungere i medesimi livelli di efficienza del protocollo S.L.A.M., il robot aspirapolvere debba consumare una quantità eccessiva di energia inducendo, qual immediata conseguenza, il repentino esaurimento della batteria. I robot adiuvati dal protocollo S.L.A.M., invece, sono in grado di impiegare svariate informazioni, tante quante sono quelle che gli innumerevoli trasduttori di cui sono dotati possono ad essi fornire, come ad esempio il numero di giri delle ruote, le immagini provenienti da fotocamere o da altri sensori di immagini, per determinare quanto e come deve muoversi. Questo processo si chiama: localizzazione. Al contempo, in maniera simultanea, i robot possono impiegare le medesime fotocamere e gli altri sensori per creare una mappa delle superficie e degli eventuali ostacoli frapposti nel percorso per scansare gli stessi ed evitare di pulire due volte la stessa superficie. Questo processo si chiama: mappatura.
Per arricchire il novero dei campi operativi della S.L.A.M. può essere utile rammentare altre applicazioni come, ad esempio, la navigazione di una flotta di robot per la sistemazione degli oggetti negli scaffali in un magazzino (Amazon), la guida e il parcheggio di un’auto a guida autonoma (Tesla) o la consegna di un pacco mediante la navigazione di un drone in un ambiente sconosciuto (ancora Amazon).
Come funziona la S.L.A.M.
In generale la S.L.A.M., come del resto tutte i protocolli di gestione robotica, si avvale di due procedure fondanti dell’informatica: la cosiddetta front-end e la back end. La prima attiene alla gestione della parte visibile all’utente di un programma e con la quale egli stesso può interagire, in altre parole trattasi di quella anche detta: interfaccia del programma, ovvero: il componente fisico o logico che permette a due o più sistemi elettronici di comunicare e interagire. La seconda attiene alla parte del programma che permette l'effettivo funzionamento di queste interazioni e che non è visibile all’utente: è il vero e perspicuo motore del sistema informatico.
L’operatore, in genere un tecnico specializzato accompagnato da speleologi esperti o anch’egli uno speleologo provetto, imposta lo strumento per adattarle alle proprie esigenze secondo il piano operativo precedente elaborato, agendo sullo schermo, né più né meno come stesse preparando un frullatore a preparare il suo succulento beveraggio. Ad un certo punto, terminata la fase prodromica, premerà il magico tasto di inizio e muoverà i suoi passi a partire da un punto prescelto, che fungerà da origine del sistema di riferimento della mappatura, seguendo un percorso, anzi accuratamente studiato, che dovrà percorrere interamente, in andata e ritorno, sino a chiudere lo stesso nel punto ove era cominciato. Questa operazione sarà necessaria per dislocare in maniera precisa le stazioni mobili lungo la mappa che, contemporaneamente alla scansione tridimensionale, lo strumento sarà capace di costruire. E la scansione in cosa consisterà? È capitato a tutti di impiegare o di osservare all’opera un cosiddetto distanziometro di tipo l.a.s.e.r. per la misura di una distanza, ad esempio: i lati di una stanza. Detto strumento emette nella direzione scelta una particolare luce che, percorso il tragitto stabilito, è in parte riflessa e in parte rifratta (assorbita) dall’ostacolo che si è frapposto al suo cammino per infine ritornare al suo punto di emissione ove un particolare dispositivo è in grado di calcolare il tempo impiegato per compiere l’intera operazione. Nota la velocità della luce nel mezzo (aria) e il tempo impiegato a compiere il doppio percorso, con un semplice calcolo sarà possibile stabilire la distanza indagata e quindi collocare, rispetto al punto di riferimento prescelto, la posizione spaziale del punto colpito dall’impulso di luce. Si immagini che uno speciale telemetro[7] compia l’operazione descritta centinaia di migliaia di volte al secondo, in tutte le direzioni e ogni secondo cambi l’origine del sistema di riferimento al contempo costruendo la mappa di quella medesima origine viaggiante, come se ad ogni secondo ripetesse la telemetria considerando, non solo la distanza del punto iniziale da quello finale, ma di tutti gli altri punti intermedi. Va da se che, in questo modo dinamico, ogni pseudo stazione, si appoggerà alla precedente e non avrà quindi bisogno di ausilio esterno di localizzazione come, ad esempio, il G.P.S. al tempo garantendo, per ridondanza di dati, una precisione superiore a quella che si sarebbe ottenuta in maniera statica.
Perché la luce l.a.s.e.r. e non una luce qualunque? La luce cosiddetta amplificata mediante la stimolazione della radiazione assomma a se tutta una serie di caratteristiche fisiche di così intellegibile rilevanza da renderla particolarmente adatta per la telemetria, sia essa la misura di una distanza, la guida di un missile o il puntamento del cannone di un carro armato. Il principio di funzionamento del l.a.s.e.r. ovviamente esula da questa trattazione divulgativa tuttavia può essere utile almeno comprendere i rudimenti del fenomeno e le significative caratteristiche. Stimolazione: una materia opportunamente stimolata può emettere fotoni, le particelle della luce, un poco come la lampada correttamente sfregata da Aladino emetterà il mago. Direzionalità: al contrario di tutte le altre sorgenti luminose che propagano la luce in tutte le direzioni il l.a.s.e.r. emetterà in un'unica e prestabilita direzione con un angolo solido sotteso dal fascio di fotoni piccolissimo. In altre parole: la luce sarà assai collimata in una direzione privilegiata. Come dire: la luce generata da una lampadina sta alla rosa dei pallini prodotta da una fucilata come il proiettile di un mitra Ak-47 sta al l.a.s.e.r. o – rimanendo nel campo militare – la differenza tra una sorgente luminosa ordinaria e una l.a.s.e.r. è simile a quella tra una bomba a frammentazione tipo ananas e una Claymore: la prima, al momento dello scoppio, indirizza le schegge in tutte le direzioni mentre la secondo soltanto in un lato prescelto. Monocromaticità: la luce l.a.s.e.r. è caratterizzata da un’unica frequenza che poi visivamente si traduce in un unico e selezionatissimo colore (in genere rosso). Tale circostanza permette alla luce di vedere l’oggetto cui è indirizzata (il bersaglio) con notevole precisione quasi escludendo tutto il resto del mondo circostante aumentando l’efficienza e la precisione. Un poco come guardare l’obiettivo della misura attraverso un tubo strettissimo che non dà spazio alla veduta d’altro. Radianza: nei l.a.s.e.r. la quantità di energia emessa per unità di angolo solido è incomparabilmente più elevata rispetto alle sorgenti tradizionali. Come dire che il bossolo dell’ogiva di un ipotetico proiettile è molto grande e quindi con un contenuto di polvere da sparo elevato e, una volta esploso, è capace di garantire un massivo trasferimento di energia alla massa viaggiante e quindi una maggiore gittata e una traiettoria parabolica pressoché piatta. Coerenza: mentre nell'emissione spontanea di qualsiasi altra sorgente luminosa ogni fotone è emesso in maniera casuale rispetto agli altri, nell'emissione stimolata ogni fotone ha la stessa fase del fotone che ha indotto l'emissione. Come dire che ogni proiettile esploso da un mitra sarà perfettamente identico a quello precedente e a quello successivo e, per questo, caratterizzabile dal difettare di alcun scostamento, anche lieve, del suo moto e giungere perciò al medesimo obiettivo. Impulsi ultra-brevi: con diverse tecniche è possibile costruire laser che emettano pacchetti di onde in lassi temporali estremamente ridotti: con le tecniche attuali si possono ottenere impulsi dell'ordine del femtosecondo[8].
Come dire che il famoso mitra sparerà un proiettile ogni 0.000000000000001 s o, se si vuole: 1000000000000000 proiettili al secondo.
Ricapitolando: il telemetro viaggiante individua la posizione di milioni di punti nello spazio al suo intorno attribuendo ad ognuno di essi una coordinata spaziale e al contempo traccia la mappa del percorso compiuto per sul quale quei punti, per così dire si appoggiano, si collegano. Ma come fa lo strumento o, per meglio dire, il programma di gestione a stabilire detto collegamento?
I.M.U.
I dati forniti dal l.a.s.e.r. ovvero le distanze o, se si vuole, le coordinate dei punti, sono affiancati a quelli emessi da un’unità inerziale di misura (I.M.U.[9]) facente parte integrante dello strumento, consentono creare un immagine puntinista dell’ambiente rilevato anche detta: nuvola di punti.
Ma in cosa consiste questa I.M.U. e quali funzioni assolve?
L’Inertial Measurement Unit è un sistema di misurazione inerziale, ovvero: un dispositivo compatto e autonomo, dotato di sensori di inclinazione, accelerometri, misuratori di velocità angolare, giroscopi[10] pluri asse, che, in base alle leggi della dinamica, e capace di fornire tutte le grandezze fisiche necessarie per stabilire istante per istante la posizione del rilevatore che lo porta seco e quindi tracciarne la traiettoria.
Per comprendere di cosa trattasi basti pensare che le motociclette che partecipano alle gare internazionali di MotoGP, altre ai vari e complicatissimi sistemi elettronici, montano le I.M.U. per avere nel corso della gara un’analisi in tempo reale della posizione del mezzo e, dopo, un resoconto particolareggiatissimo e fedele del suo comportamento al fine di aumentare le prestazioni e migliorare le caratteristiche di tenuta, accelerazione, frenata et cetera. Le piattaforme inerziali più sofisticate hanno più giroscopi e più accelerometri (di solito uno per ogni asse ortogonale nello spazio) che misurano le inclinazioni destra-sinistra (angoli di piega) avanti-indietro (il cosiddetto beccheggio) e, nelle ultimissime evoluzioni, anche la sbandata.
Con qualche certezza e confortevole fascinazione si può affermare che l’I.M.U. fa le veci del G.P.S. ove questo, o qualsiasi altro sistema di tipo G.I.S.,[11] non possano prestare i propri servigi ed è proprio per questo che il telemetro dinamico con protocollo S.L.A.M. si attaglia perfettamente al rilievo degli ambienti ipogei, alle grotte naturali e artificiali ove le onde elettromagnetiche satellitari non possono giungere. E se non si potrà mappare un luogo geometrico tramite triangolazioni satellitari che ricondurranno, con la precisione voluta, a coordinate geografiche, tramite l’I.M.U. e l’elaborazione dei dati fisici che è in grado di fornire, sarà comunque possibile collocare una grotta in un riferimento locale, secondo la procedura descritta, che, una volta fissato e geo riferito il punto di partenza esterno, potrà infine essere connesso col riferimento globale, ovvero in termini di latitudine e longitudine o in qualsiasi altro tipo di coordinate geografiche terrestri.
Grazie all’impiego simultaneo del l.a.s.e.r. e dell’I.M.U. il telemetro, spostandosi insieme all’operatore all’interno del luogo oggetto del rilievo, crea un’immagine matematica dei punti afferenti ad ogni oggetto frapposto al moto di luce, ad esempio: le pareti, le volte, le stalattiti, le stalattiti et cetera cui corrisponderà poi, in sede di post produzione o post elaborazione, un’immagine grafica tridimensionale puntinista. L'algoritmo S.L.A.M., dal canto suo, operando come descritto, agirà sulla collocazione spaziale dei detti punti migliorandola, tramite le nuove informazioni di posizione acquisite stazione viaggiante dopo stazione viaggiante. Si tratta, in definitiva, di un processo iterativo o se si vuole di retroazione dinamica: più iterazioni compirà il dispositivo, più accuratamente potrà posizionarsi all'interno dello spazio misurato.
Riflettanza
Senza tema di smentita si può affermare che il telemetro e il suo funzionamento costituiscono un coacervo di dettami fisici e ritrovati tecnologici talmente straordinari da destare meraviglia. Ma le peculiarità non si esauriscono in tal guisa. Infatti degna di considerazione è quella che attiene alla cosiddetta riflettanza del materiale rilevato.
Di cosa si tratta? Si è detto che una delle caratteristiche fisiche principali del l.a.s.e.r. è la radianza ovvero la quantità di energia emessa per unità di angolo solido, associata ai fotoni e con essi viaggiante: rispetto alle ordinarie sorgenti luminose, nella luce coerente stimolata essa è di gran lunga superiore. Per semplificare sarà come dire: l’energia associata all’ogiva del proiettile di mitra AK-47 sta ad un raggio di una sorgente ordinaria come un pezzo di artiglieria da 90 mm[12] sta ad un raggio l.a.s.e.r.
Ammesso che i due vettori viaggino alla medesima velocità quale dei due creerà maggiore danno all’obiettivo? Facile immaginare e anche sperimentare che il pezzo da 90 produrrà devastazione, del resto per questo motivo serve l’artiglieria, nevvero?
E il raggio l.a.s.e.r. che parte dal telemetro e colpisce la superficie della grotta, nel suo piccolo – dato che comunque è solo un raggio – produrrà qualche effetto in qualche maniera paragonabile al pezzo da 90 mm. Basta vedere un qualsiasi film di fantascienza e leggere di recenti esperimenti americani per valutare gli effetti di fantomatici raggi della morte per capire che, si!: se l’energia associata al raggio è elevata il materiale colpito subirebbe, nel punto e nella zona immediatamente circostante, danni rilevanti.
È per questo che detta energia associata al raggio deve essere contenuta e calibrata per viaggiare entro una determinata lunghezza passando, nel caso in questione, attraverso l’aria, per colpire l’obiettivo e per tornare al punto di partenza ove un rilevatore scandirà il tempo impiegato e un elaboratore calcolerà la distanza. Poiché l’aria è fatta di molecole abbastanza distanti tra loro per interferire lievemente con il raggio l.a.s.e.r., la cui lunghezza d’onda[13] è paragonabile a quella di una molecola, la calibrazione dell’energia associata alla luce coerente, quindi della potenza dell’emettitore e perciò delle dimensioni dell’apparato, dipenderanno in gran parte dalla quota parte di energia che sarà impegnata nel suo urto con l’oggetto che si deve rilevare.
Cosa avviene quindi in questa determinante fase? Se la lunghezza d’onda del raggio fosse più piccola rispetto a quella del l.a.s.e.r., anche di pochi ordini di grandezza, il raggio stesso penetrerebbe nella materia senza incontrare grande ostacolo, passando nello spazio tra una molecola e le altre, ogni tanto colpendone qualcuna, e non sortirebbe alcun beneficio in ordine all’intento rilevatore. Ma il l.a.s.e.r., come detto ha la lunghezza d’onda paragonabile a quella delle molecole, perciò, giunto sull’oggetto del rilievo, le dovrà urtare spendendo parte dell’energia per farle vibrare o, se si vuole, per scaldarle. La parte di energia avanzata ad esso servirà per invertire il cammino e tornare verso la sorgente. In altre parole: una parte di energia sarà assorbita dal materiale e un’altra riflessa. La quantità dell’una e dell’altra dipenderà dal tipo di molecole del materiale colpito e quindi dal tipo di materiale interessato dal processo. Questo significa che il raggio riflesso, rientrando nel rilevatore, oltre ad indicare la distanza del punto colpito, porterà seco, in base al suo contenuto energetico residuo, preziose informazioni sulla qualità del materiale rilevato.
Questo a ben pensare altro non è se non il meccanismo tramite il qual si percepiscono i colori. Infatti il colore altro non è se non la rappresentazione che il nostro cervello ogni istante compie per decodificare questo perenne bilancio tra assorbimento e riflessione della luce da parte della materia: la coccinella è rossa perché il materiale che la compone assorbe tutte le altre frequenze della luce naturale tranne quella del rosso, ad esempio.
Per il raggio l.a.s.e.r. la situazione parrebbe diventare più complicata perché la luce che lo compone, al contrario di quella naturale, è monocromatica e, per questo, sembrerebbe non poter dare nessuna informazione utile sul materiale interessato dal fenomeno. In altre parole la coccinella rossa e quella gialla sembrerebbero identiche e una parete di calcare e una di dolomia risulterebbero indistinguibili e, per così dire, contaminate dal colore del raggio incidente che in genere è rosso o verde. Come fare allora? Poiché è possibile misurare il gradiente di energia in diminuzione associato al raggio l.a.s.e.r. nel lasso temporale tra andata e ritorno, si potrà associare ad esso un colore della scala cromatica R.G.B.[14] che fungerà infine da rappresentante delle caratteristiche fisiche del materiale oggetto di rilievo o, il che è lo stesso, della grandezza fisica denominata: riflettanza. Ad esempio: la parete di calcare di una spelonca apparirebbe giallina, quella di una falesia grigia, il muro di tamponamento di un edificio di trachite rosso, le foglie di un albero verdi, et cetera. Trattasi naturalmente di mera associazione fittizia in post produzione che nulla ha a che vedere con il processo di acquisizione che l’occhio fa della luce e il cervello del colore, ma di un surrogato che, se compiuto correttamente, può comunque rendere un’idea realistica del materiale e della sua qualità visiva e quindi avvicinarsi al reale colore.
Texturing
E se si volesse avere la sua reale consistenza cromatica?
Per ottenerla si dovranno trattare i dati geometrici e fisici di ognuno dei punti rilevati, secondo le modalità descritte, impiegando programmi di processione postuma dedicati di tipo prettamente grafico.
<<Per tre punti non allineati passa un solo piano.>> Per capire cosa si deve fare per raggiungere l’obiettivo può risultare dicevole e conveniente partire da codesto assioma della geometria euclidea. Infatti se della nuvola di punti rilevati si uniscono opportunamente tre punti alla volta è facile definire una superficie costituita da una miriade di triangoli piani. Ora non si avranno più solo tanti punti talmente vicini tra loro – e quindi capaci di “fregare” il cervello – da apparire un ente geometrico continuo invece che discreto come in realtà sono, ma si avrà una vera e propria superficie. E come il gioco della settimana enigmistica intitolato: colora i puntini, per scoprire cosa cela quel complicato schema di migliaia di triangoli affiancati si potrà attribuire ad ognuno di essi un colore confacente all’oggetto e al materiale che geometricamente rappresenta, magari attingendo dal novero R.G.B., nevvero? Ma così facendo il risultato finale non equivarrebbe alla semplice colorazione dei singoli punti secondo la procedura anzi descritta? In effetto il cervello non distinguerebbe la differenza se non, al più, per apprezzarne una certa continuità di sviluppo. E allora cosa si può fare? Texture mapping o texturing: è questa la soluzione del problema. Nel campo della cosiddetta computer grafica ovvero della costruzione di immagini con l’ausilio del computatore elettronico, la texture mapping è quell’operazione informatica, ottenibile con i programmi di cui si è accennato, che consente di associare alla superficie o a porzioni di superficie che si vogliono connotare di tetragona rispondenza cromatica con la realtà, immagini del materiale che le compone. Si va ad esempio in una grotta, si fotografa una porzione di parete avendo cura di illuminarla nel migliore dei modi, si digitalizza l’immagine ottenuta e, compatibilmente con lo sviluppo delle superficie triangolari, la si attacca ad ognuna di esse. Per migliorare la resa visiva invece che una sola foto se ne fanno molteplici, per altrettante porzioni delle pareti e, una volta digitalizzate, le si attribuisce alle corrispondente porzioni della superficie virtuale, elaborata in un processo di successivi affinamenti, sino ad ottenere l’effetto più realistico possibile. Facile intendere che la massima resa si potrà ottenere se si riuscirà a fotografare l’intera grotta e quindi a “spalmare” l’intera foto ottenuta sulla superficie che geometricamente la rappresenta, come se la foto stessa fosse alla stregua di una pellicola per alimenti e la grotta l’oggetto che si deve avvolgere.
Questa procedura è facile in ambiente epigeo, ma assai complicato in ambiente ipogeo per i consueti problemi logistici e di sicurezza che in una spelonca ci si ritrova a dover affrontare, ma soprattutto per la difficoltà ad illuminare in maniera corretta un luogo ove le tenebra han fatto immarcescibile dimora, per poter scattare fotografie degne di questo nome.
Riassumendo e affinando
Lo strumento Zeb Horizon prodotto dalla ditta inglese GeoSLAM, leader nella realizzazione di strumentazione di acquisizione dati in tre dimensioni attraverso la tecnica S.L.A.M. (Simultaneos Localization And Mapping), può compiere tutte le operazioni descritte ed è quello che ha fatto nel rilievo delle grotte della valle di Lanaitho.
Esso ha una portata massima pari a 100 m, una risoluzione di 300.000 punti/s e una precisione relativa fino a 6 mm che è appunto lo scarto massimo tra l’immagine prodotta e quella reali. A partire dai dati che lo stesso fornisce, grazie all’impiego di programmi di elaborazione dedicati, sarà quindi capace di creare un modello tridimensionale assai accurato e preciso sia di ambienti interni sia di ambienti esterni. E particolarmente adatto sarà, grazie alla presenza nella sua dotazione di una unità inerziale e al protocollo S.L.A.M., ad operare in aree caratterizzate da assenza del segnale G.P.S., come ad esempio negli spazi interni di edifici, in gallerie, caverne e in ambienti dotati di fitta vegetazione.
Inoltre lo strumento Zeb Horizon, per sopperire alle operazioni di texture mapping, è equipaggiato con la cosiddetta: Zeb Cam, ossia una videocamera capace di raccogliere immagini che, in post produzione, possano essere associate alla superficie scaturente dalla nuvola di punti tridimensionale.
La camera integrata fa parte della Serie S dei l.a.s.e.r. scanner denominati FARO ed è tra le più efficienti a livello mondiale Si trattasi invero di una fotocamera coassiale con il cannone di emissione l.a.s.e.r., dotata di risoluzione pari 180 Mp[15].
La modalità H.D.R. (High Dynamic Range) di cui è dotata infine consente allo strumento di unire le immagini acquisite con diverse esposizioni della luce, fornendo infine una gamma dinamica di luminosità particolarmente realistica.
Considerazioni finali
Grazie alla preziosa collaborazione intercorsa tra il tecnico Maurizio Mulliri e il Gruppo Grotte Nuorese, in data 26 e 27 agosto dell’anno 2022 e l’impiego del telemetro l.a.s.e.r. citato, è stato realizzato il rilievo tridimensionale delle seguenti grotte: la risorgiva de Su Gologone, la grotta Rifugio, la grotta Corbeddu, la grotta Sisaia, l’ingresso della grotta de Sa Oche e la grotta Tiscali.
Per completezza di informazione si riportano, spelonca per spelonca, oltre ad una breve scheda descrittiva, alcuni parametri significativi su ognuno dei rilievi compiuti.
Le grotte
Se si dovesse trovare un minimo comune multiplo tra le citate grotte, oltre all’ovvia loro discendenza dal fenomeno carsico del quale sono imperitura testimonianza, si potrebbe indicare la loro vicinanza geografica. Si trovano infatti entro un circolo di misura pari a ~ 2600 m il cui centro – guarda caso! – si trova in prossimità del Rifugio PI.CA.VE.[16]
Risorgiva Su Gologone
Tutti conoscono la suggestiva e paurosa fenditura di dolomia dalla quale perenne sgorga l’acqua che, dopo un lungo e misterioso percorso nei meandri oscuri di muto calcare, titilla nei mesi della calura estiva e sconquassa irruente e poderosa nei mesi delle piene. E tutti ne magnificano i fasti con tale inusitata fascinazione da assurgere la stessa a massima ed impareggiabile bellezza naturalistica della Sardegna.
Trovasi nel territorio del comune di Oliena ad un tiro di schioppo dall’alveo del fiume Cedrino, alle pendici del monte Uddè, poco prima che lo stesso si tuffi nei maestosi meandri con i bastioni colonnari di basalto del Gollei in prima fila.
500 litri d’acqua oligominerale[17] purissima e limpidissima che per ogni secondo mediamente sgorgano da una spaccatura di roccia dolomitica esplorata dal prode Alberto Cavedon sino alla profondità di 135 m ché più ancor non si può
Grotta Rifugio
È una caverna sepolcrale appartenente alla cosiddetta cultura[18] di Bonu Ighinu.
La cultura di Bonu Ighinu è una cultura prenuragica sviluppatasi in Sardegna durante il IV millennio a.C. (4000-3400 a.C.). Deriva il nome da una località situata nel territorio del comune di Mara, in provincia di Sassari, in cui si trova la grotta de Sa Ucca de su Tintirriolu (la bocca del pipistrello), nella quale furono osservate per la prima volta, da Renato Loria e David H. Trump, nel corso dell’anno 1971, le testimonianze archeologiche riconducibili a questa cultura.
È considerata la prima cultura in Sardegna ad aver impiegato le cavità naturali in modalità sepolcrale che, nel tempo, costituirono piccole necropoli. I defunti erano sepolti in tombe a fossa ed in piccole grotte artificiali, di forma prettamente ovale e con soffitto a volta.
La spelonca, che consta di due piccole sale principali a volta bassa e sviluppo irregolare, si trova nel territorio del comune di Oliena alle pendici della propaggine a nord-est del monte Corrasi, nel costone del monte Uddè antistante il corso del fiume Cedrino, appena al di sopra della strada sterrata che dalle sorgenti di su Gologone si inerpica tra i calcari della valle de Lanaitho per giungere sin quasi all’aera archeologica del Monte Tiscali.
Sa Oche
Si dice che quando il bacino imbrifero della valle de Lanaitho, che epigeicamente arriva sino al limitare dell’altopiano di Donianigoro nel supramonte di Orgosolo e ipogeicamente giunge addirittura – miracolo e meraviglia del carsismo! - sino al supramonte di Urzulei, si dice che quanto questo immenso catino superficiale e sotterraneo è sottoposto almeno tre giorni consecutivi di pioggia ininterrotta, l’acqua raccolta e in folle corsa verso il mare, uscendo impetuosa e incontenibile dalla grotta emetta una voce potente, maestosa e al tempo terrificante. Sa Ohe = la voce appunto il nome della grotta nella lingua olianese. In verità essa è solo la stura di un complesso ben più ampio e articolato che, senza il menomo diffalco, si può considerare tra i più grandi d’Europa e che prende il nome di complesso carsico Su bentu - Sa oche, dal nome della famigerata e maestosa spelonca soffiante (Su bentu = il vento) che all’altra è collegata tramite un sifone.
http://gruppogrottenuorese.it/racconti/326-violato-il-sifone-di-sa-oche-su-bentu
Grotta Corbeddu
Deve il suo nome e la rinomanza al leggendario Re del bosco o altresì detto: Aquila della montagna che ivi soleva nascondersi per sfuggire alle pugnaci squadriglie di carabinieri e di assassini in certa di una qualche vendetta. In vita: Giovanni Corbeddu Salis, così lo chiamavano. Sino al 2 settembre 1898 però, quando il carabiniere Aventino Moretti lo uccise. Una foto lo immortala come un cristo silvestre del Mantegna con ancora la spada infilata sotto la cartuccera. La stessa sciabola rapinata, con grande voluttà e soddisfazione, al maggiore dei carabinieri comandante della Divisione di Sassari Spada che impudentemente e sfortunatamente si era trovato nel luogo sbagliato nel momento sbagliato, ovvero: nella diligenza della tratta Macomer – Nuoro. Spada si chiamava come quella che gli venne sottratta. Questa fama supera quella inconcussa di carattere speleologico e soprattutto archeologico che pure è potissima.
Si trova nell’estremità sud-ovest della valle di Lanaitho alle pendici del monte Corrasi, in territorio del comune di Oliena, che la cinge con il suo enorme bastione di calcare canuto come i capelli del povero Corbeddu. Ha uno sviluppo planimetrico pari a circa 130 m ed è composta di tre sale principali facilmente percorribili e proclivi a accogliere e ospitare uomini eretti. Pur oggi, ma che ventimila anni fa doveva esser particolarmente adatta a dare rifugio all’Homo sapiens sardus dato che proprio quella è la datazione di alcuni resti ossei in essa rinvenuti e che costituiscono la più antica testimonianza dell’essere umano moderno. Oltre a un frammento di osso mandibolare e uno frontale risalenti al Paleolitico[19], sono stati rinvenuti alcuni attrezzi in osso e in pietra che erano impiegati nella loro vita quotidiana dagli uomini sapienti sardi. Garba ricordare anche altri rilevamenti di animali oramai estinti: il Megaloceros cazioti e il Prolagus sardus. Lo scheletro di quest’ultimo tutt’ora, non a caso, costituisce l’immarcescibile e superno logo del Gruppo Grotte Nuorese che memorabile contributo dette alla sua valorizzazione.
http://gruppogrottenuorese.it/ultime-notizie/300-corbeddu
http://gruppogrottenuorese.it/racconti/292-il-prolagus-sardus
Grotta Sisaia
Nella primavera dell’anno 1961, Bruno Piredda, lo storico fondatore del Gruppo Grotte Nuorese, alla testa di un gruppo di valorosi esploratori delle spelonche rivelò al mondo stupefatto la sepoltura di una donna con il cranio trapanato in vita, cui diede il nome evocativo di Sex avia = sei volte ava, a significarne la vetustà, stimata in ~ 4000 anni, e sancirne imperituro rispetto. Molto più prosaicamente – si sa! il confine tra il sacro e il profano è assai labile in tema di defunti – il nome significherebbe blatta, forse a intendere un essere non proprio leggiadro e confortevole che predilige i luoghi oscuri e stretti.
Ad ogni modo la grotta prese il nome della trapanata, sfortunata chè, oltre al foro calcificato nel cranio, aveva una serie impressionante e, vieppiù, pietosissima di patologie e lesioni.
Essa si trova nel territorio del comune di Dorgali sul costone roccioso, in località Doloverre, all’imboccatura di una valle secondaria che collega la più grande de Lanaitho con quella di Oddoene.
http://gruppogrottenuorese.it/racconti/223-domina-lunae-la-grotta-sepoltura-sisaia
Grotta voragine del monte Tiscali
Il monte Tiscali che a sud-est cinge il tratto terminale della valle de Lanaitho, racchiude al suo interno una fantasmatica voragine di misura dell’altezza pari a ~ 80 m, dalla cui sommità, quando si trova allo zenith, il sole irradia suggestive lame di luce che allo stupefatto visitatore suggestionano visioni mistiche o, più grettamente, esoteriche.
Detto abisso accatastato col nome: voragine di Tiscali, che si sviluppa in una grotta di tre rami con planimetria vagamente a forma di y e sviluppo totale di ~ 1 km di lunghezza, assume il nome di sa nurre e sa hessa nel suo ingresso superiore e sa nurre e su hoda in quello inferiore. Un accesso artificiale quest’ultimo in destra idraulica de su troccu de Corojos, una delle tante profonde fenditure scavate dall’acqua nel corso di milioni di anni e che convergono alla valle de Lanaitho.
http://gruppogrottenuorese.it/racconti/303-la-favolosa-voragine-del-monte-tiscali
Tempi di rilievo, scansioni ed elaborazioni dati
Risorgiva Su Gologone: 15 minuti.
Grotta Rifugio: 10 minuti.
Sa Oche (parziale): 10 minuti.
Grotta Corbeddu (completamento di un precedente rilievo): 25 minuti.
Grotta Sisaia: 10 minuti.
Grotta voragine del monte Tiscali: 120 minuti.
Complessivamente sono state eseguite 15 scansioni in un tempo complessivo pari a poco più di 3 ore cui è corrisposta una mole di dati pari a ~ 20 Gbyte.
Nonostante il suo minuto sviluppo (45 m2), la grotta che ha dato maggiori difficoltà operative, a causa della ristrettezza delle sue sale, è stata quella di Sisaia. Il suo rilievo ha necessitato infatti il compimento di 4 scansioni. Per contro la Grotta voragine del monte Tiscali, pur avendo uno sviluppo nettamente superiore, in ragione dell’inusitata ampiezza dei suoi ambienti, ha richiesto 6 scansioni.
Nella post produzione, il primo passaggio è stato la trasformazione del dato grezzo direttamente fornito dal Zeb Horizon, in uno, per così dire: "riconoscibile" dal software di gestione delle nuvole di punti. Questa operazione ha richiesto un tempo di elaborazione pari a ~ 1.5 volte il tempo della scansione.
Indefinitiva, alle 3 ore di rilievo, si sono aggiunte circa 5 ore di trasformazione del dato.
Il secondo e ultimo passaggio è stato infine quello consistente nelle operazioni di elaborazione grafica che, con questa prolusione, si restituisce agli speleologi entusiasti (en + theos = un dio dentro che parla loro) e ai profani incuriositi ( curiosus da cura, sollecitudine).
E se gli stessi volessero operare un confronto tra la scansione tridimensionale di tipo statico della grotta de Su bentu compiuta dal Gruppo Grotte Nuorese nell’agosto del 2013 compita con lo ScanStation P20 e quella presente dinamica compiuta con la Zeb Horizon, potrà facilmente accedere alle prolusioni dedicate tramite i seguenti collegamenti:
http://gruppogrottenuorese.it/ultime-notizie/262-le-coordinate-geografiche
http://gruppogrottenuorese.it/ultime-notizie/254-su-bentu-3d-le-tavole
Fonti: il variegatissimo mondo di internet, Wikipedia come prima lettura e svariati approfondimenti compreso il preziosissimo archivio digitale del Gruppo Grotte Nuorese.
http://gruppogrottenuorese.it/
Conclusioni
Molta strada è stata fatta, molta è ancora da compiere, ma il sentiero è tracciato.
<< Viandante, sono le tue impronte
il cammino, e niente più,
viandante, non c’è cammino,
il cammino si fa andando.>> Antonio Machado
<< Dammi sei ore per abbattere un albero e spenderò le prime quattro ore per affilare l’ascia.>> Abraham Lincoln
E infine dal fantastico film di Ridley Scott Prometetheus, il titano amico dell'umanità e del progresso che, secondo la mitologia greca, rubò il fuoco agli Dei per darlo agli uomini e che per questo subì la punizione di Zeus, che lo incatenò ad una rupe ai confini del mondo per poi farlo sprofondare nel Tartaro, realtà tenebrosa e sotterranea, ecco i dialoghi ed un estratto filmico assai emblematici di un’idea perspicuamente evolutiva e precipuamente auspicabile.
My pups (le mie bambine)
Fifield: << If there’s anything in here worth working at, these pups’ll find them.>>
Milburn: << Pups?>>
Fifield: << Yes, pups. My pups.>>
<< Prometheus! We are mapping now.>>
Relatore: Giovanni Maria Tanda, perito carpentiere e modesto speleologo.
[1] Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation
[2] Electronic Numerical Integrator and Computer
Progettato e costruito alla Moore School of Electrical Engineering, una ex scuola universitaria dell'Università della Pennsylvania, per il Ballistic Research Laboratory, un ex centro di ricerca dell'esercito degli Stati Uniti d'America, fu presentato ufficialmente il 16 febbraio 1946 e progettato da J. Presper Eckert e John Mauchly (il team di sviluppo includeva Bob Shaw (tabelle funzionali), Chuan Chu (divisione/radice quadrata), Kite Sharpless (programmatore principale), Arthur Burks (moltiplicatore), Harry Huskey (lettore/stampante) e Jack Davis (accumulatori)). Fonte: Wikipedia.
[3] Light Edmitting Diode
[4] A.P.S. ovvero: Associazione di Promozione Sociale è un sodalizio, normato dalla legge n. 383 datata 7 dicembre 2000 e aggiornata in data 15 ottobre 2017 dedicata al cosiddetto: terzo settore, che svolge attività di interesse generale a beneficio dei propri iscritti o di terzi avvalendosi prevalentemente del volontariato dei propri associati.
[5] GeoSLAM, azienda australiano di primo piano nel mondo nella realizzazione di strumenti di acquisizione di dati tridimensionali con la tecnica cosiddetta: Simultaneous Localization And Mapping.
[6] Nelle telecomunicazioni satellitari è il sistema di posizionamento G.P.S. (acronimo in inglese: Global Positioning System, a sua volta abbreviazione di NAVSTAR G.P.S., acronimo di NAVigation Satellite Timing And Ranging Global Positioning System.
[7] Telemetro: telè + metron ovvero: lontano + misura.
[8] 10-15 s ovvero 0.000000000000001 s
[9] I.M.U. = Inertial Measurement Unit
[10] Il giroscopio è un dispositivo fisico rotante che, per effetto della legge di conservazione del momento angolare, tende a mantenere il suo asse di rotazione orientato in una direzione fissa.
[11] Geographic Information System (GIS)
[12] Durante la seconda guerra mondiale.il pezzo da 90 indicava un cannone con calibro di 90 mm e bocca da fuoco lunga 53 volte il calibro impiegato.
[13] 635 nm di tipo rosso-arancione, più facilmente visibile all'occhio umano. 635 nm = 635 · 10-9 m = 635 m/1000000000 = 0.000000635 m: questa è la misura media di una molecola.
[14] R.G.B. è l'acronimo di Red, Green e blue, i nomi dei colori additivi in lingua inglese. Il modello R.G.B. è un sistema di codici di colori internazionale le cui specifiche sono state definite dalla Commission internationale de l'éclairage (C.I.E.) nel 1931. R.G.B. è un modello di colori "additivo" vale a dire: è un sistema che si basa su tre colori fondamentali (che non devono essere confusi con i colori primari): il rosso, il verde ed il blu e da tre colori di tipo sottrattivo, il giallo, il colore magenta ed il ciano. A partire da questi, sommando e sottraendo, si generano tutti i colori dello spettro visibile.
[15] Mega pixel.
[16] Il rifugio Pi.Ca.Ve. fu edificato nel corso dei primi anni novanta per volontà del G.G.N. al fine di avere una base logistica in un'area di notevole interesse speleologico, naturalistico, archeologico e turistico.
Si trova, infatti, all'interno della vallata di Lanaitho, in territorio di Dorgali, nel cuore del massiccio carbonatico del Supramonte. Il Pi.Ca.Ve. è un acronimo derivante dalle iniziali dei tre soci fondatori del Gruppo Grotte Nuorese: Bruno Piredda, Giuseppe Cadoni, Federico Ventura.
[17] Denominazione comune (e in passato ufficiale) delle acque minerali con residuo fisso a 180 °C inferiore a 0,2 g per litro.
[18] In senso antropologico, per cultura si intende il complesso delle manifestazioni della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo o di un gruppo etnico, in relazione alle varie fasi di un processo evolutivo o ai diversi periodi storici o alle condizioni ambientali.
[19] Il Paleolitico (dal greco: παλαιός palaios, antico, e λίθος lithos, pietra, ossia "età della pietra antica" o "età antica della pietra”) è il periodo della preistoria in cui si sviluppò la tecnologia umana con l'avvento dei primi strumenti in pietra ad opera di diverse specie di ominidi. Iniziò circa 2,5 milioni di anni fa e terminò 12 000 anni fa con l'introduzione dell'agricoltura e col passaggio al Mesolitico, o, nelle zone di precoce neolitizzazione, all'Epipaleolitico.